Le
parole non dette sono il nostro pianto soffocato
Profumo di prato e
giallo di ranuncoli mi ricordi, ti vedo ancora inerpicarti su per la salita di
quella striscia di bosco, vicino a casa nostra, dove ogni volta ci perdavamo
perché inebriati dai mille profumi e segreti nascosti. E poi, le
rane, la vasca dei girini, i rospi dopo il temporale, l’arcobaleno, tutto
girava attorno alla natura, i nostri pomeriggi ci vedevano immersi. Ricordo il
tuo pianto, uno di quelli che mi fece male, tu con la fronte accostata al muro
là dove l’uomo nero, per dispetto e per disprezzo, aveva sbattuto i suoi mici,
appena nati, facendoli passare dal buio al buio. E le nostre domeniche Gabriella,
col vestito della festa, che era sempre il più bello di tutti, perché la
mamma ci teneva che facessimo bella figura, le nostra domeniche che iniziavano
sempre con la solita baruffa, ma che già al momento dell’andare in chiesa
si era risolta tra chiacchiere e pensieri. E il pomeriggio puntuale il cinema,
Cinema David per la precisione, dove andavamo non soltanto per vedere il film,
per lo più storico o in costume, ma per poter godere dell’intimità col
nostro innamorato, poterci sfiorare e dare un casto bacio. E poi le rare serate
passate al dancing (si chiamava così allora), sotto lo sguardo vigile di papà
che difficilmente siamo riuscite a depistare.
E l’autostop? -Tu dura
come il marmo, non volevi mai accettare l’invito di chi ci faceva salire, il
più delle volte senza malizia, soltanto per farci un favore-.
Il tuo carattere
capriccioso e ribelle si scontrava con tutto ciò che sapeva di regole e
imposizioni, il tuo senso della giustizia era dilatato e mal si accordava
con quello dei tempi in cui, in prima liceo, un cinque in latino da
recuperare a settembre lo vivesti come un sopruso, chiudendo
definitivamente con quella scuola, non sapendo allora che la vita ti
avrebbe riservato altri sogni e appuntamenti da rimandare.
Io e te, unite ma
lontane, troppo diverse per poterci capire, il mio mondo a te estraneo, la tua
percezione delle cose e della vita non in sintonia con la mia. Eppure eravamo
cresciute assieme, giocato, riso, pianto assieme, fatto gli stessi passi,
cresciute con gli stessi valori, visto le stesse cose ma erano gli occhi che
erano diversi: i miei si rivolgevano all’obiettivo, al suo raggiungimento,
sempre in corsa, infaticabile; i tuoi contemplavano l’infinito, erano in
attesa, sospesi.
Quanti sogni, quante
speranze deluse Gabriella per volere osare troppo, o troppo poco, comunque
inconciliabili con le scelte o rinunce fatte. Anni e anni di duplice vita,
quella del vivere quotidiano, fatta come tutti, di alti e bassi, gioie e dolori
e quella interiore, smisurata, ingombrante, alla spasmodica ricerca di
te.
E poi il risveglio, il
riscatto, una nuova energia a rinvigorire il presente, forse sentivi già
che qualcosa ti sfuggiva. Non hai fatto in tempo a capirlo.
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