domenica 18 dicembre 2011

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Parto da questa foto  in cui sono la prima a sinistra, ritratta assieme ai miei fratelli più piccoli

Tra passato, presente, futuro


Sono nata in Svizzera da padre napoletano e madre carnica.  
Mi sono sempre chiesta: 
"A chi appartengo?" 
Quale terra mi ha forgiato, ha più inciso sul mio carattere, i miei pensieri, il mio aspetto?
Il tempo ha dato delle risposte, riconoscendomi  una certa veemenza napoletana, la fierezza tutta carnica e un po' di snobismo svizzero.
Devo dire che tutto sommato è un'immagine generosa alla quale faccio ricorso spesso per dare risposte ai miei comportamenti.

Frammenti di vita


La mia infanzia è qualcosa che ricordo con piacere, soprattutto i giochi all'aperto con i miei fratelli.
Ricordo il ritrovo di sempre "la quercia", alta, frondosa, accogliente, dalla quale partivano le nostre scorribande che si perdevano tra i prati e le ripide discese che noi, forti della nostra fantasia, affrontavamo scivolando su cartoni, a forte velocità, ebbri di gioia e di ingenuità. E ricordo anche i  giochi sul fiume, soli, padroni assoluti del silenzio che ci circondava, dei borbottii e del rumore monotono dell'acqua che scorreva, rotto solo dalle nostra grida, dai tonfi dei sassi, a chi li gettava più lontano e dai nostri saltelli da una pietra all'altra nel cercare di mantenerci in equilibrio per non cadere nell'acqua.

La Quercia


Ah la quercia, alta, frondosa, con le sue grandi chiome ad abbracciare tutti. E noi eravamo pronti al suo richiamo quando bambini, dopo una giornata di scuola, correvamo verso di lei, pronti a sfinirci in un alternarsi di giochi che immancabilmente partivano sempre da lì: il ritrovo. Giorni spensierati dove la fantasia giocava un ruolo determinante nelle scelte dei giochi da fare, bambini e bambine uniti ma divisi nei ruoli, nelle decisioni perché quelle spettavano sempre e unicamente ai maschi. Ricordo che sapevo tutto di come si costruiva un arco, una freccia, una fionda perché mio fratello e i suoi amici, in autunno, raccoglievano i rami di corniolo o del nocciolo, più flessibili di altri, li facevano seccare durante l’inverno perché diventassero più facili da lavorare e, al primo tepore, quando la primavera, dopo un interminabile inverno, da noi più lungo a causa della neve abbondante e delle temperature rigide, faceva finalmente capolino, cominciavano i nostri  pomeriggi al sole, vestiti alla bell’ e meglio, non avevamo mai freddo ma i moccoli dei nostri nasi arrossati tradivano l’aria ancor gelida  che non sentivamo. Con mani esperte, mentre noi bambine guardavamo, loro i maschi con gli attrezzi del mestiere piegavano, sbucciavano, legavano e fino a che la corda non era perfettamente tirata e l’arco giustamente incurvato non si accontentavano. Lo stesso con la fionda che veniva costruita con cura e attenzione, gli elastici venivano recuperati da   vecchie camere d’aria ormai inutilizzate di motociclette e il lavoro più delicato era costituito dall’assemblaggio dei vari pezzi. Con queste rudimentali armi avremmo dovuto dare la caccia a piccoli animaletti, lucertole, uccellini ma finiva sempre che gli unici bersagli erano costituiti da bottiglie e barattoli perché nessuno aveva a cuore di fare veramente quello che era nelle intenzioni primitive. Un giorno, Pelca,  diminutivo di Pel di carota per il colore dei capelli e il viso invaso dalle lentiggini, mentre prendeva le misure per valutare quanto in alto arrivava  il sasso lanciato dalla sua fionda, vide cadere ai suoi piedi una povera rondinella. Allo stupore iniziale, accortosi di essere stato l’artefice della morte dell’uccellino, seguì il dolore suo e nostro di fronte all’inutilità di quella morte che nessuno voleva. Faceva quasi buio ma non riuscivamo a  staccarci da quel posto. Avvolgemmo la rondinella in un fazzoletto recuperato dalla tasca di uno di noi e la adagiammo delicatamente, come volessimo farci perdonare,  in un buco scavato con le nostre stesse mani, aiutati da legnetti raccolti là attorno. Ci facevano male le mani per la durezza della terra ma faceva ancor più male il cuore per quanto era successo. Ritornammo a casa mogi,mogi, l’incanto della giornata ormai rotto dall’accaduto ma già strada facendo nuovi pensieri, nuovi progetti,  un guizzo nell’occhio, pronti ad affrontare  un nuovo giorno con lo spirito e l’incoscienza dei nostri tredici anni.

L'adolescenza


Gli anni dell’adolescenza furono tutti in salita. 
Alla goffagine fisica si univa un carattere docile e plasmabile che, se per mio padre era la naturale risposta al tipo di educazione ricevuta, per me era un grido di ribellione abortito sul nascere. 
Lunghi silenzi si alternavano ad esplosioni di vitalità e di gioia tanto più forti  quanto più prepotente era il desiderio di amore e di poterlo esprimere  senza divieti e proibizioni. Ricordo ancora e mi vien da sorridere pensando a mio padre che nella sua ferma bonarietà, trovava una  similitudine tra me il gallo cedrone che, a suo dire, a primavera faceva bella mostra di sé, esibendo il piumaggio, con fischi e piccoli voli. 
Mi piaceva l’accostamento con l’animale  e ancora adesso, quando in  montagna sento il canto del gallo, mi fermo, ne ascolto il rogolio e penso a quegli anni,  a quando i palpiti del cuore davano un senso di vertigine; 

allora guardavo in alto e mi  sentivo  padrona del mondo

Gli anni giovanili


Guardando al mio passato devo riconoscere che gli anni giovanili furono i più intensi e febbrili per l’enorme quantità di aspettative e di traguardi da raggiungere: la scuola, il lavoro, il matrimonio, la famiglia erano tutte aspirazioni irrinunciabili e ugualmente prioritarie. Affrontavo il futuro con l’incoscienza e la forza dell’età, che ti fa credere possibile l’impossibile ma che di fronte alle prime delusioni e   amarezze cominciava a smussare, plasmare, temprare,  io sempre con quella temerarietà e ostinazione che solo la fede in se stessi può dare. La caduta delle prime illusioni fu un boccone piuttosto amaro da digerire soprattutto quando caddero uno ad uno i progetti lungamente coltivati e attesi. Fu con grande determinazione  che ripresi il filo della mia vita e cominciai a cambiarne la prospettiva partendo  da una nuova consapevolezza e accettazione dove alla smania, al diritto alla felicità a tutti i costi subentrò la ricerca della felicità partendo dalle piccole cose. Non è stato facile, non posso dire di averla raggiunta ma adesso

Guardo la pioggia che scende, grigia, monotona, rumorosa. 
Eppure non l'ho mai vista con occhio tanto benevolo.